Marco Germani. “L’uomo dei sogni” (24/09/2004)

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Da Il silenzio dopo la luce (ovvero il significato delle cose astratte ed inanimate).

Dal Capitolo II – Testimonianze di occulte presenze.

« Una corsa sfrenata verso i nostri obiettivi può trasformarli in un nuovo punto di partenza per correre verso altri inutili fini. Ci siamo mai chiesti se per un attimo ci venisse donato solo per un istante il potere di fare, o addirittura essere quello che avremmo sempre voluto? Da qui questa storia prende vita. La storia di un viaggio che cammina sottobraccio alla voglia di sognare un qualcuno che ci aiuti ad essere migliori ».

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Londra, 14 Gennaio 1872

Il signor Jacob Malley era il barbone di White Chapel. Aveva appena compiuto i suoi cinquantasette anni e sentiva il bisogno almeno per una volta di dormire tra le coperte di un letto caldo. Vivere sotto il ponte di White Chapel non era una cosa tanto piacevole, almeno per un essere umano, viste le condizioni esteriori: stracolmo di topi ed insetti d’ogni genere, freddo e stretto quanto una gattabuia. Jacob lo vedeva come la sua casa e riteneva fosse lì che sarebbe morto quando Dio lo avrebbe chiamato tra le sue braccia. Il quadro si completava con l’arrivo d’altre sette vagabondi: non si poteva più star bene.

Due anni dopo andò a vivere nel quartiere di London Boulevard, migliore del precedente ma anch’esso contaminato dal degrado che si faceva spazio tra i palazzi in rovina. Egli si stabilì al porto di San Michael e trovò modo di sistemare il suo territorio con cura e parsimonia come farebbero mille formiche laboriose nel costruire la propria tana.

Una sera di Dicembre del 1875, la pioggia scendeva a catinelle sul tetto di cartone della casetta sotto cui Jacob si riparava spesso per leggere qualche buon libro, rubato dalla biblioteca del dottor Tim S. Herron, il più grande medico di Londra in quegli anni. S’interrupe ad un tratto, pensando a come sarebbe stata la sua vita se avesse scelto una strada migliore ed accettato condizioni le quali un tempo erano per lui una minaccia, invece di star lì a vomitare rifiuti. Quando aveva venticinque anni, egli era fidanzato con Christine Hugly, una dolce ragazzina di quindi anni a cui voleva un bene dell’anima. Poi la perse. Avrebbe dato tutto per un istante con lei avvolta tra le braccia davanti ad un camino dal fuoco ardente, o solo una fiamma che avrebbe spento il dolore d’essere sempre l’unico a soffrire. La pioggia cessò e l’aria sfiorò le sue mani raggrinzite.

« Dimmi allora cosa desideri, Jacob. » Bisbigliò una voce alle sue spalle. « Posso accontentarti, e ne sarai molto felice. »

« Chi sei? » Disse Jacob voltandosi. « Cosa dici? »

Se ne stava seduto sulla poltroncina marrone un signore dallo sguardo penetrante. Aveva indosso una giacca color verde ed un cappello dalla forma bizzarra in capo. I suoi occhialetti, che gli donavano un atteggiamento erediti quanto spiritoso, erano un modello non adatto al suo viso. Comunque il resto era a posto e con sincerità affermo che nessuno poteva disprezzare il suo lato estetico, impregnato di un certo fascino travolgente.

« Non sono venuto qua per sorprenderti amico, devo darti ciò che vuoi. Ho tanto lavoro da svolgere, non perdiamo tempo. » Disse l’uomo.

Jacob lo guardò incuriosito e senza proferire altre inutili parole, rispose: « Vorrei rivedere la mia piccola Christine. Solo questo. »

« Io esaudirò il tuo desiderio, ma devo avvertirti… »

« Di cosa? » Domandò Malley.

« Le leggi sono chiare. Tu puoi tornare dalla tua amata, sappi però che non bisogna accontentarsi delle cose di cui si è stati schiavi per molto tempo. Ci sono situazioni ben più importanti da tenere da conto. La troppa voglia di credere alla speranza che tutto torni come prima, può denudarti della cosa più preziosa che hai. »

« Io voglio Christine, e se tu puoi farla tornare, allora ti prego fallo ora… »

La ragazza corse verso Jacob e gli saltò in braccio. La pelle si strofinava tra la bocca di colei che lo aveva amato per anni, di quella tenera biondina che lo aveva sempre protetto. Ora Jacob Malley si sentiva in buone mani, steso sul corpo della sua amante e con felicità parlò della tristezza di aver finalmente trovato la pace. Una lacrima scivolò dal suo occhio e nell’istante in cui toccò terra, il nero vortice dell’aldilà lo catturò assieme alle anime dei defunti parenti.

Parigi, 9 Settembre 1920

La mattina era sempre un dramma quando si svegliava. Giselle Marseau aveva ottantuno anni e viveva a Parigi con il fratello. Ogni volta andava allo specchio del salone di casa e si divertiva a truccarsi come quando era giovane. Bisogna sapere che Giselle aveva partecipato a molti concorsi di bellezza; era senza dubbio la donna più bella che i cittadini parigini avessero mai visto negli anni a cavallo tra il 1869 ed il 1877. Ella amava sentirsi ancora così, la sua vecchiaia l’aveva logorata e l’immagine che rifletteva lo specchio non era altro che il suo odio verso la società e tutto ciò che la circondava. Piangeva molto, ma non si rendeva conto che la vita non era poi stata così malvagia nei suoi riguardi. Davanti a quel maledetto specchio si pettinava la sua folta chioma grigia ed espresse, con timore, il suo desiderio: « Io, Giselle Marseau, vorrei essere ancora la donna che tutti gli uomini sognano. »

Dietro di lei, la porta della sala si spalancò ed entrò un uomo a passo veloce. Si sdraiò sul divano e parlò con voce seccata: « Cosa desideri, vecchia? »

« Non ti conosco. » Rispose Giselle.

« Non fare la finta tonta, sai benissimo chi sono. »

« Veramente sei arrivato così all’improvviso che… » Giselle si voltò nuovamente verso lo specchio.

« Ora hai capito chi sono. Tu mi hai chiamato. »

« Mi dispiace, non voglio… perché faccio questo? Non voglio, aiutami tu. »

L’uomo sorrise ed incrociò le braccia. « Non posso aiutarti ad essere te stessa. Io posso solo esaudire il tuo desiderio. Vuoi tornare splendida e giovane come un tempo. Può essere anche una cosa legittima se si ha paura della vecchiaia; ma hai la minima idea di cosa potrebbe accaderti se ciò avvenisse? Non sei stata di certo una nullità in tutti questi anni. Non ti basta? Non pensi sia ora di vivere serenamente il tuo presente e non preoccuparti più solo della tua persona? Altra gente ha bisogno di te come tu ora ne hai di me. I tuoi figli, tuo fratello ed i tuoi amici ti amano. Ripensaci, vai da loro. Non farti soggiogare la ragione da queste fandonie. »

« Parli bene tu. Non sai che significa avere il tormento ogni giorno. Ci penso troppo, non riesco a fare altrimenti. Voglio che questo specchio rifletta l’immagine di me stessa con almeno cinquant’anni di meno. Fallo per me. » Giselle si coprì gli occhi con i palmi delle mani.

« Così desideri e così sarà, vecchia signora. » L’uomo schioccò le dita…

… Non vedeva più il volto ricoperto da rughe e gli zigomi infossati. Lo sguardo di una volta, le mani, le labbra carnose e soffici come la neve. Giselle, meravigliosa creatura; la tua figura avrebbe dilettato chiunque. Il tuo passo frizzante e conturbante, il tuo seno così prosperoso da sembrare quasi irreale. Pochi momenti che la resero felice. Si spense con il sorriso sulla bocca e con la voglia di morire bella come aveva chiesto.

Torino, 27 Maggio 1991

La mamma ed il papà di Andrea correvano in ospedale dopo la chiamata dei medici che li informava sulle condizioni gravi del figlio. Quando giunsero lì, la madre volle rimanere sola col bambino e chiese gentilmente al marito di aspettare fuori per almeno una mezz’ora.

Andrea aveva dieci anni ed era stato vittima di un incidente stradale che lo aveva privato dell’uso delle gambe. Un pomeriggio, aspettava il papà all’uscita di scuola, quando una macchina sbandò andando a finire sul marciapiede e lo colpì in pieno, scaraventandolo sulla vetrata del negozio accanto. Si salvò e come questo accadde, rimane un mistero o, per meglio dire, un miracolo. Il piccolo Andrea non gioiva più per nulla.

I bambini giocavano sotto il cortile dell’ospedale dove egli era ricoverato.

« Mamma, anche io voglio camminare di nuovo. » Diceva sempre.

Lei si commuoveva a vedere il figlio in quelle condizioni e puntualmente rispondeva: « amore mio, non preoccuparti, camminerai presto. Te lo prometto. » Una bugia così non la si dovrebbe neppure pensare. La mamma sapeva per certo che Andrea sarebbe rimasto infermo a vita, ma non riusciva a dirglielo. Guardava il marito entrare nella stanza e con un’occhiata di piena amarezza, gli fece cenno di starle vicino. La sera stessa se ne andarono tutti e due.

Verso le nove, Andrea, iniziò a guardarsi le gambe. Le toccava ma non sentiva niente. Picchiava su di essere per cercare il dolore ma nulla.

« Dio, vorrei che queste gambe si muovessero. » Pensò.

Il dottore aprì la porta e rivolgendosi al bambino disse: « Andrea, c’è una visita per te. Di solito dopo le nove non facciamo entrare nessuno, ma per questo signore si può fare un’eccezione. »

Un uomo di bell’aspetto, alto e snello, sbucò da dietro la porta della camera semisocchiusa. Afferrò la sedia e si mise a sedere.

« Ciao Andrea, io sono l’uomo dei sogni. Immagino tu mi conosca. »

« No, non ti ho mai visto. Perché ti chiami uomo dei sogni? » Domandò con aria innocente.

« Sai, ho una piccola dote. Riesco ad esaudire i desideri delle persone. »

« Che bello! Io qualcosa da chiedere ce l’ho. »

« Vuoi le gambe nuove, Andrea? » L’uomo si alzò.

« Sì… »

« Non dovrei prendere l’anima di questa creatura. » Pensò l’uomo dei sogni. Infatti non voleva, ma doveva. Il suo compito era chiaro e preciso. Non poteva lasciare ad una persona la capacità di raccontare ciò che avrebbe visto. Solo in un caso poteva decidere per il contrario: non riguardava Andrea, però.

« Ora facciamo una cosa, » continuò l’uomo, « io mi giro e quando sei pronto, mi dici che vuoi correre. Mi hai capito bene? »

« Sì, ho capito… »

L’uomo dei sogni si volta.

« Voglio correre… »

… Si stava divertendo un mondo a saltellare avanti ed indietro per il parco. Andrea cercava di catturare le farfalle con la mano, fino allo stremo. Come era felice. Le gambe sembravano muoversi da sole. Il sogno si era avverato e lui doveva il suo rispetto all’uomo che era stato capace di risolvere il dilemma. Gli si avvicinò e disse: « Grazie uomo dei sogni, mi hai salvato. Ora dobbiamo partire, giusto? »

« Tu lo sapevi, Andrea? » Rispose l’uomo dei sogni.

« Oh si, non finirà mai di dirti grazie. Il solo pensiero, che svegliandomi potrei tornare sul letto d’ospedale a parlare con gente dagli occhi indiscreti, mi fa star male. Vengo con te. »

« Sì, verrai con me. »

Andrea lo afferrò per mano ed insieme varcarono il tunnel.

« Jacob, Giselle ed Andrea fecero delle scelte. Anche difficili, ma a loro non interessava. L’uomo dei sogni li avvertì dei rischi che correvano prendendo di petto dei problemi che egli definiva inutilmente risolvibili.

Io ho chiesto mille volte al mio Dio se potevo parlare con l’uomo dei sogni. Se lo facessi, non mi preoccuperei delle conseguenze che le mie parole avrebbero sul mio corpo… »

… « Allora sei pronto, Marco? »

« Sei tu? Sei arrivato, finalmente. »

« Già, ti ho ascoltato. »

« Vorrei che questo libro venisse portato a termine entro tre anni. Senza fretta possibilmente; ho ancora tempo per ritrovare le motivazioni che mi spingono a concluderlo. »

« Hai tempo. Lo so. Vuoi che capiscano chi sei? »

« Sì lo vorrei ma… »

« Dimmelo tu. Chi vorresti essere? O meglio, chi pensi tu sia? »

« Non saprei, non posso immaginarlo. Nulla di buono. »

« Non è detto. Il diavolo non è sempre brutto. »

« Ma io non sono un diavolo. »

« Ma per molti lo sei stato. »

« Purtroppo. »

« Tutto qui quello che vuoi chiedermi? »

« Aspetta, vorrei che tu proteggessi i miei amici ed i miei genitori. Anche la mia ragazza. Posso contarci? »

« In cambio del tuo favore pretendo il tuo destino. Sei disposto? »

« Sì, lo sono. »

« Non credo ai miei orecchi. Sei disposto a vendere la tua anima per loto? Non è il Marco che conosco. In pochi ricambierebbero il favore. Gli scemi di oggi non ne sono in grado. Almeno tu ci provi. Sai spiegarmelo? »

« Forse perché non ho da perdere un granché. »

« Da come sono tute le persone che conosci, neanche loro avrebbero da perdere un granché. Quante di loro ti sono state veramente vicine? Dimmi la verità. »

« Poche. »

« Non ti hanno abbandonato in più di una volta? Quanti sono spariti nel nulla? »

« Anche io ero così. Lo sai, amico mio. Non avevo un bel carattere. Quante ne ho di ragazze lasciate sole? Su quante ho alzato le mani? Quanti amici ho tradito? Ho persino deluso mio padre. »

« Vero, ma ti sei pentito. Loro no, questa è la differenza. Non capisco, ma ti aiuterò. Così sia. »

« Per quanto gli starai accanto? »

« Il tempo necessario, ragazzo mio. Un giorno pagheranno le menzogne con cose ben altro più preoccupanti. Ma adesso, in attesa della vendetta, io li proteggerò. »

« Dove mi porterai? »

« Da nessuna parte Marco. Non farai la fine di Jacob, Giselle ed Andrea. Non finirai come tutte quelle persone che mi hanno chiesto aiuto. Lo hai detto tu nel tuo racconto, giusto? »

« Cosa ho detto? »

« Che solo in un caso, l’uomo dei sogni non priverebbe della vita un comune mortale. E ci troviamo nel tuo caso. »

« Strano… »

« Ora ti spiego perché: la cosa più brutta che possa esserci è il sapere di non avere un destino o una strada da percorrere e per cui lottare. Ti rimarrebbe il dubbio di cosa sarai dopo la morte e se avrai anche lì un destino. Tu hai peccato. E lo sai il motivo? Ti fidi troppo delle tue compagnie. Un tempo, come dicevi tu, non lo facevi e ti dimostravi indifferente a tutto. Durante quegli anni, se tu mi avessi chiesto aiuto, io non ti avrei mai punito. Ora esaudisco il tuo desiderio maledicendo il tuo atto d’incoscienza. Mi dispiace Marco, non sempre il male è cosa ingiusta. A volte il male può farti sopravvivere alle cattiverie della vita. Continua a scrivere. »

« Cercherò di tornare come prima, uomo dei sogni. Intanto imprigiona la mia anima e lasciami qui, affinché io possa redimermi. »

« Lo farò. »

Grazie Barbara. Il tuo aiuto per lo svolgimento di questa vicenda è stato prezioso.

Marco Germani

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